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L'anno della mosca


Testo, narrazione, tamburo 
Yousif Latif Jaralla


“L'anno della mosca” racconta la storia la di una donna separata con tre figli. Il più piccolo dei figli fu colpito dalla tracoma che infestò gran parte la popolazione di Baghdad all'inizio degli anni 60, la donna non lasciò nulla di intentato per salvare gli occhi del suo piccolo: ospedali, medici privati, in fine gli stregoni e i guaritori. Ed è proprio uno di questi guaritori che le vendette una ricetta di un unguento miracoloso, da preparare, capace di ridare la vista al bambino, spalmandolo sugli occhi e bendandoli per sette giorni. E cosi fu. Durante le notti di questa settimana, la donna per tenere compagnia al suo piccolo, ogni giorno, gli raccontava storie di sette uomini straordinari, senza tempo e senza età e con dei poteri soprannaturali, che si incontravano ogni plenilunio per riferirsi le cose più strana che capitò a ciascuno di loro durante il loro girovagare durante il mese . Il settimo giorno la donna racconta il sogno del uomo di Samarcanda e del suo amore e lo strano sogno che fece a Gerusalemme.

Come in un gioco di specchi contrapposti, e per la modalità circolare e ripetizione, nel “L'anno della mosca” , personaggi e eventi, trovano senso e estinzioni nel loro rimandi continui ad altre realtà, altre dimensioni, pur essendo separati nel tempo e nel spazio, ma sono alchemicamente concatenate e annodate nelle vicende dei personaggi del racconto. Cosi la guerra, la pandemia e la povertà sembreranno niente altro che una conseguenza dolorosa della perdita dell'amore di una piccola donna con il torto di essere semplice e mansueta in un mondo caotico e poco benevole, e, che disperatamente cerca di curare il male degli altri per guarire, lei stessa, dalle proprie ferite.

Lo spettacolo scritto e eseguito secondo i canoni tradizionali orientali del “Haqwati“ teatro della narrazione, ovvero: storia cornice, storia passaggio, storia centrale, storia madre, narrando ripetendo con raccordi ritmici e canti che tessano un tappeto sonoro, fili conduttori e cardini dello spazio del racconto – rituale.